Dillo alla luna

lunablu2005_p Dice di aver digitato la parola "blog" sul Google, e tra i blog de La Stampa aver scelto il mio per il nome insolito. Ha visto il ritratto, che non è il mio purtroppo, ora lo dirò anche per coloro che mi hanno chiesto (pure in francese, ma la mia mail di risposta non è andata a buon fine purtroppo) di chi fosse il dipinto.

E’ la "Jeune fille aux bras croisés" di Balthus, stava appesa a Palazzo Grassi a Venezia per la grande mostra allestita l’anno della scomparsa del pittore.

Mi aveva colpita per la tristezza, la pacatezza, e mi somigliava un po’, molto vagamente oggi che non ho più la jeunesse, nemmeno i capelli lisci e lunghi, e diversi chili in eccesso ormai stanziali.

Lei ha visto il ritratto e mi ha scritto di aver avuto il sentore che i tratti del viso e lo sguardo triste mi appartenessero. Mi ha commentata, lasciandomi un pezzo di sé che mi ha stupita per l’empatia immediata.

Le ho scritto una mail, mi ha risposto.

E’ grazie a lei che sto iniziando a reagire all’involuzione che mi stava prendendo: quando nel mare immenso della rete riesci ad imbatterti fortunosamente in qualcuno che ti dice "non preoccuparti, non sei strano", qualcuno che ti fa percepire una strana comunione seppure nelle poche parole che creano strane coincidenze, allora il minimo è riscuoterti, smettere per un attimo di piangerti addosso, lamentandoti di come sei sbagliato, interrogandoti sul disagio che potresti provocare negli altri.

Ho scritto un sacco di cose parlando per metafore perché mi vergognavo di esprimere un modo di essere, lo facevo per sfogarmi, senza riuscirci e senza realmente comunicare. (Sotto sotto turbata dall’essere in sé, indipendentemente dal fatto di parlarne.)

In passato ho sbagliato al contrario: gettavo in pasto alle persone con fierezza una certa diversità con l’intento di incuriosire o scandalizzare più che per comunicare i miei desideri e il mio modo di essere. In altri momenti ho anche desiderato dimenticare, convincendomi di aver vissuto soltanto un periodo di confusione.

Oggi non ho più desiderio di stupire nessuno, e neppure sento forte al necessità di denudarmi a tutti i costi per mostrare tutti gli aspetti di me. E’ passato però anche il momento in cui bastava credere di essere stata momentaneamente confusa, non mi faccio domande sull’essere o il non essere – sull’essere diventati, semmai.

Mi sento sola, spesso, incompresa e delusa, lo ammetto. Ho come la sensazione, che a volte diventa certezza, che sia troppo difficile guardare negli occhi una persona e comprendere, o meglio condividere esattamente la sua essenza. Gli ultimi anni mi hanno solo insegnato più riserbo, come forma di rispetto per il proprio essere. Un po’ una difesa, più che una fuga. Gli ultimi giorni di disagio, invece, mi hanno spiegato che forse la frustrazione proveniva dal mio vedere me stessa, più che dall’osservazione altrui del mio intimo.

"La diversità rende unici", mi scrive la nuova conoscenza virtuale, e mi saluta con la frase "don’t dream it, be it" del Rocky Horror. Probabilmente in quel "be it" sta nascosto il succo dell’equilibrio: accettarsi in prima persona, imparare a condividere l’ingombrante presenza delle nostre peculiarità, prima di preoccuparsi di urlarle agli altri causando magari soltanto sofferenze e dolore. Non diventerà più facile incontrare uno sguardo partecipe, una personalità empatica, però aiuterà almeno a non vergognarsi di fronte a chi non capisce, e soprattutto potrebbe insegnarmi ad esprimermi come si dovrebbe sempre fare in un diario, virtuale o cartaceo, e cioè con sincerità e senza paura di mostrare…. L’ombelico.

P.s.: "guardami in faccia quando mi parli" dice la canzone che mi ha accompagnata durante questa riflessione. Per questo il post si chiama "dillo alla luna", anche se non c’entra molto con il contenuto.

27.07.2006

 O.S.T. Vasco Rossi, Dillo alla luna

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