Cose vecchie, cose nuove

Mentre sono a cena dai cugini per il solito appuntamento annuale dei santi squilla – o meglio vibra – il telefono.

Raffaella ha tutte le intenzioni di rimproverarmi perchè, di tutti i numeri miei che possiede, a nemmeno uno risulto reperibile. In verità ho davvero lasciato scorrere troppo tempo, e così uno dei miei numeri preferiti, quello che sarebbe da giocare al lotto, se credessi in qualche modo ad un certo tipo di sorte, è stato disattivato giusto settimana scorsa. Anche questa volta mi compiaccio del mio attuale disinteresse per la dipendenza dalla tecnologia, anche se più semplicemente dovrei vergognarmi dell’abuso smodato compiuto negli anni passati.

Tornando a Raffaella, invece, il suo tono mi fa rivedere la mia precedente posizione di senso di colpa per essere una che ultimamente "cerca" poco le amiche, ma c’è dell’altro. Sento qualcosa che mi mette a disagio, ma non percepisco subito che cosa. Inizia a raccontarmi dei suoi pomeriggi di negozio vuoto e dell’utilizzo di My Space, e il mio fastidio incrementa. Mi si ripropone, un po’ come la peperonata, o peggio, come i due piatti tipici rumeni appena scodellatimi sotto il naso e nascosti in un tovagliolo di carta con molto imbarazzo e soprattutto molto timore che la cuoca si offendesse – mi si ripropone, dicevo, il discorso di pochi giorni fa, quando alla domanda "tu niente Facebook?" non mi è venuto da rispondere niente di meglio che un buon proposito per il futuro: semplicemente cercare di riattivare un po’ di comunicazione reale, telefonica dove non tridimensionale, lontano dai profili reali o fittizi e dagli spazi virtuali.

Non so perchè, forse un po’ di snobismo fuori luogo, o la sensazione di aver già vissuto – sbagliando – l’esperienza, in altri ameni virtuamondi e con altri nomi e intenti, ma il presenzialismo sulle piattaforme più telematicamente trendy al momento non mi attira. Penso ai momenti vacui in cui il contatore shinystat veniva consultato con più frequenza e attenzione del calendario per i giorni di ovulazione, e mi compiaccio dell’indifferenza con cui ascolto il numero di contatti conquistati dalla mia amica. Probabilmente la mia è anche una buona dose di alibi per giustificare il fatto di non essere più abile interprete e fruitrice della tecnologia web – è un attimo rimanere indietro e perdere il treno, e trovo azzeccatissimo, divertente, quel motto che vagava in rete ai tempi del blogfest, "qui una volta era tutto 1 punto 0", che suona esattamente come il classico "non ci sono più le stagioni di una volta" dei nonni.

Insomma, metto giù il telefono con l’altezzosità (e la zoppìa) di LuigiaPallavicinicadutadacavallo, rimugino tutta la sera, e quando mi chiedono cos’ho rispondo semplicemente che è la melanzana affumicata che vaga come un fantasma, oppure è colpa dell’utilizzo disinvolto di aglio, che sarà anche in onore della patria di Vlad l’Impalatore e del rimedio anti-vampiro per eccellenza, ma io non riesco a tollerare neppure la nostrana bagna cauda, non è discriminazione, piuttosto intolleranza alimentare.

Rimugino,e la sera dopo curioso, perchè non riesco a farne a meno, mi conosco. Su Facebook almeno una decina di miei fornitori, cinque o sei conoscenti e un ex cliente. Ma chi me lo fa fare di virtualizzare con le persone che semplicemente mi capitano a tiro anche senza una tastiera e un monitor a impicciare? Che fatica, poi, crearsi uno spazio web su My Space. Chiedo a mio nipote, quello mediano (che ha già imparato come si fa una pagina di fishing, anche se zietta sua gli ha detto che non si fa mi raccomando) se lui usa facebok o myspace. Il mio nipotino è ormai il mio punto di riferimento per i momenti in cui mi sento "ormaitroppovecchiaper", e mi fa contenta rispondendomi di no. Lui usa solo messenger per chiacchierare con le cugine quando sono a Barcellona. Faccio finta di non ricordarmi che è anche un campione di lisciata – quell’arte del compiacere le persone che lo ha portato a essere nominato Nipote con la N maiuscola da mio padre – e riaggiusto la mia dimensione di pensiero.

Infine, decido di reagire, in qualche modo.

Prendo il telefono e chiamo Barbara. Stiamo al telefono finchè i doveri familiari me lo concedono, ma mi godo in ogni istante la nostra vecchia, obsoleta, chiacchierata. Scopro anche che mi manca, tantissimo, ma non ho nessuna voglia di rimediare con un pc. Penso che bisognerà prendere la macchina, e trovarsi da qualche parte. Abbracciarsi, sorridersi, perchè esporsi non è crearsi un profilo con nome e cognome e tentare di assomigliare alla propria vetrina mediatica, ma esporsi è indossare se stessi, impappinandosi, canticchiando, facendo gaffes, ricordando e proponendo per il futuro, vergognandosi, emozionandosi e ridendo un po’, con le mani in mano.

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Un commento su “Cose vecchie, cose nuove

  1. Vero è ben, Pindemonte (tanto per continuare con le citazioni). E’ facile nascondersi dietro uno schermo fluorescente, anche se restiamo convinti di essere noi quelli là fuori nel gran mare del web. Invece è il nostro nick, una comoda coperta di Linus sotto la quale giocare a rimpiattino (anzitutto con se stessi). Può andare bene per un po’, soprattutto per quei contatti occasionali, non impegnativi, ricreativi – è simpatico, gradevole. Ad un certo punto però si sente l’esigenza di vivere in una dimensione più concreta, dove alla comunicazione scritta si sostituisca quella verbale, fisica. Perché siamo provvisti di un corpo che è linguaggio, emotività, passione; abbiamo cinque sensi che pretendono di sperimentare il mondo, non semplicemente immaginarlo con la fantasia. Internet è ok, ma dopo tiriamo le sciarpe fuori dagli armadi e i sorrisi dalle bocche.

    Ciao, buon fine settimana.

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