I'm on a diet

Sul’orlo di un suicidio annunciato: di quei suicidi sbruffoni, quelli che sono in realtà invocazioni di aiuto, richieste di affetto ,preghiere di attenzione. Lui diceva "sono solo montagne russe, prima si scende, poi si risale", come nel migliore dei bigliettini da Bacio Perugina. Io mi figuravo con tutto il busto sporto nel vuoto fuori del carrello, ed un attimo per scegliere: sì o no.

Mi aggrappavo a qualcosa di buono fatto nella vita, quando chiusa nel bagno leggevo le controndicazioni dei flaconi di detersivo. Mi tornavano alla mente sempre gli occhi di mio figlio, e da soli son sempre bastati. Col tempo mi sono resa conto che il suicidio non era un gioco, e che poteva capitare qualcosa di grave: si poteva morire sul serio.

Mi sono detta "uccidersi è per persone senza palle, non puoi vivere da rassegnata e morire da perdente". Poi finivo per chiedermi quanto sottile fosse il confine tra il voler dormire perchè stanchi di tutto, e il non volersi più risvegliare.

Ho cercato il dolore come palliativo per un male che non si toccava con le mani, ho provato il dolore dell’epidermide che libera le voci sopite, la dipendenza emotiva che fa chiamare padrone qualcuno che si sarebbe voluto amante, padre, guida. Mi son alzata la notte, rischiarata dalla lampadina del frigorifero, e risvegliata la mattina con nuovi sensi di colpa.

Ho sempre fatto tutto a metà, non sono mai andata fino in fondo, nemmeno con le crisi personali.

Cosa altro avrei potuto ripropormi….  per questo 2008…?

Ho iniziato una dieta: tanto lo so già, non la porterò a termine.

 

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12 commenti su “I'm on a diet

  1. La dieta è un po’ un casino. Potrebbe deprimere. Oppure no, dipende.

    Mi ricordo che una estate di tanti tanti anni fa, una sera avrei potuto “farmi” una tipa piuttosto grassa (però anche querula). La somma delle due sgradevolezze mi irrigidi. In realtà me ne pentii la sera stessa, sarebbe stato meglio starci, nonostante i rischi d’incollaggio successivo.

    Infatti, l’anno dopo, che era assai dimagrita, mi venne il desiderio, nonostante di carattere non fosse migliorata. Ma “ogni lassata è perduta” (per sempre). Doppio pentimento.

    Ma perchè ti racconto ciò, se non c’entra nulla con il tuo post?

    Vabbè, tanto per ciacolare un po’.

  2. Agnés hai mai pensato che la vita potrebbe essere di quelli che fanno le cose a metà?!

    Le ansie, le crisi, l’angoscia sono ottimi indizi di “buona natura”.

    Forse mi aggrappo all’assurdo per non naufragare…però chissà, magari non sbaglio.

    :))

    Irene

  3. quando ho letto carrello ho pensato a quello del giesse

    se ti butti di lì al massimo ti diventa “niss” un braccio

    giacu

  4. Adesso che le feste sono finite, vorrei tanto fare un po’ di dieta – giusto per far fuori quel paio di chili appesi alle maniglie dell’amore. Ma come posso, visto che in casa ho qualcuno che continua a comprare panettoni con la scusa che te li tirano dietro?

    Sul suicidio: è più normale pensarci anziché no. C’è stato un periodo in cui lo consideravo anch’io, mentre attraversavo il ponte delle Molinette e guardavo giù il Po. Ma trovavo sempre almeno una buona ragione per desistere. La migliore era che so nuotare – anche metaforicamente – e che me la sarei cavata ugualmente. E poi non volevo dare motivo di soddisfazione a suoceri e cognati…

  5. Giacu, sarò bassa ma non così bassa da tentare il suicidio dal carrello del supermercato!!!

    … anche se i “niss” hanno il loro fascino….

  6. Pim, in effetti non voler dar soddisfazione è un buon appiglio – tu l’hai descritto in maniera molto più elegante e raffinata di me…

  7. Qualcuno poco tempo fa:

    “allora cosa avrebbe dovuto fare Prishilla con una gamba nelle sue condizioni, buttarsi già dal balcone? che poi tanto, con la sfiga che ha minimo si rompeva anche l’altra gamba e non moriva neanche”.

    Appunto.

  8. anonimo il said:

    “Eri il tuo dolore, e l’hanno abolito. Eri la tua solitudine, e l’hanno popolata. Che cosa ti resta? Ti hanno guarita cosi’ bene che

    sei come morta. Questa e’ la vita, certo..

    Sopravvissuta a tutti quei naufragi, come un palinsesto indecifrabile

    in cui nessuno, mai, avra’ la chiave – la pelle su cui si scrivera’ un nuovo testo, un testo futuro che sara’ sempre la ripresa, interminabilmente, dello stesso dolore”

    Florence Dugas

  9. Prish, a parte l’indelicato commento che hai ricevuto(ma forse sdrammatizzare è un’arte), quello che scrivi mi fa pensare.

    Non è che io non sia in grado di rendermi conto della vacuità dei miei problemi rispetto a chi ha provato reali e forti sofferenze, fisiche o emotive che siano.

    Da una parte, proprio il senso di colpa per la leggerezza delle mie motivazioni mi fa vergognare della mia apatia. Dall’altra, sento che ogni situazione è un mondo a sé, e il disagio più grande non risiede sempre nel contesto di vita oggettivamente più difficile.

  10. No Agnes, scusami ho dato un’impressione sbagliata. Non era mia intenzione mettere a confronto sofferenze, non avrebbe senso. E tra l’altro ritengo che la sofferenza fisica sia per molti versi ben più sopportabile di quella “del cuore” (non foss’altro che per il fatto che tutti te la riconoscono e fanno il possibile per allevviarla, anche sdramatizzando con frasi come quella che ho riportato, che a mio parere è geniale). Al contrario quello che provi tu “ti fa sentire in colpa”, e questo è ingiusto e potenziale fonte di una sofferenza più assai più grande, meno definibile, meno condivisibile con gli altri… Insomma il mio intento non era certo quello di comunicarti che non hai niente di cui lamentarti, ok?

    Piuttosto volevo dare il mio piccolo contributo per piegare ad un lieve sorriso l’idea del suicidio. A prescindere dal motivo che può scatenare l’idea. Perchè a volte si può passare quasi inosservati il confine fra la malinconia e l’ironia. E a me fa sempre tanto bene.

    Un abbraccio.

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