Capitolo 2 – Quel pasticciaccio brutto in ferramenta

Avevo promesso un work in progress e mi stavo quasi scordando perchè… si… lo ammetto… nella parte centrale il romanzo diventa godibile – ma la parola è priva di doppio senso – intendo dire, non c’è nulla di eccezionalmente perverso, niente di particolarmente sconvolgente ma nemmeno un eccesso di zuccherosi sdilinquimenti…. Non è una storia che leggerei con una mano sola, come si suol dire, ma nemmeno un intreccio che ti fa distrarre pensando ad altro mentre leggi…. Insomma, è un po’ una sorta di Faletti del sadomaso, una di quelle letture che lì per lì dilettano, ma se ti chiedessero un anno dopo di raccontar la trama… boooh??? In ogni caso, sotto l’ombrellone ci stava bene, lo ammetto. Il punto è resistere – almeno – dodici capitoli prima di ciò.

Ad esempio, il capitolo due è a dir poco inverosimile. Intanto, il solo fatto che una ragazza prossima alla laurea in lettere antiche scelga, per arrotondare il bilancio durante gli studi, di lavorare proprio in una ferramenta, darebbe da pensare. Il fatto che stia lì ad una settimana dalla laurea, idem. L’antefatto era l’incontro con il giovane miliardario per intervistarlo al posto dell’amica coinquilina per il giornale della scuola. Ok, vada per l’intervista, con tanto di capitombolo (perchè le sottomesse devono sempre essere imbranate? Me lo spiegate? E’ un binomio inscindibile? Se una non è goffa, forse, evita la sega mentale di volersi far crepare di mazzate?).

Quello però che mi fa immensamente ridere è che il miliardario in questione, affascinato non si sa come non si sa perchè dalla nostra impacciatissima signorina, decida di recarsi in ferramenta. Voglio dire… anche facendo finta che non sia Portland, ma la piccola Alba…. E’ come se il Signor Ferrero concedesse un’intervista alla ragazzona e poi, qualche giorno dopo, gli venisse voglia di comprare due metri di corda… Invece di mandare l’autista, o il custode, o chiunque normalmente si occuperebbe di queste cazzate, lui parte e va dal Self di Baraccone, va dritto dalla tizia in divisa verde, “Passavo di qua”, dice (e la sua voce è “roca e calda come cioccolato nero fuso al caramello”, roba da diabete) e mentre c’è, chiede due dozzine di fascette, con fare allusivo (se vuoi usare le fascette col cavolo che una sana di mente ti si sottomette, a meno che non voglia finire al pronto soccorso e magari al tg della sera), un po’ di nastro di carta (passa da me, che te lo do io quello), e lei cosa fa? Misurando la corda gli domanda… candida candida… se era negli scout, e poi chiosa “Deve imbiancare?”  rifilandogli un paio di tute da lavoro.

Tutte le domande intelligenti, invece, vengono poste da Anastasia solo nella sua psiche, dove c’è una cosa che chiama “dea interiore” che non fa altro che commentare senza che lei esterni verbalmente nulla…. Dal punto di vista narrativo è immensamente fastidioso, anche se questa dea sembra la più sana di mente di tutti i personaggi del libro. 

 

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2 commenti su “Capitolo 2 – Quel pasticciaccio brutto in ferramenta

  1. Starò molto attento a cosa chiedo alla ragazzona della ferramenta sotto casa. L’ultima volta cercavo un lucchetto…

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